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ROMEDIO SCAIA: MAESTRO DI CALCIO
Riceviamo e pubblichiamo
Avevo circa 10 anni. I biancorossi del Città di Castello, allora in “quarta serie”, si allenavano per un periodo all’USU. Andai con la mia timidezza a fare un intervista per il giornalino di classe. Lì incontrai per la prima volta una persona con uno strano accento, veneto, che avrebbe avuto poi uno spazio importante nella mia vita: Romedio Scaia, il n. 7, ala destra tecnica e veloce. Fu infatti l’unico che accettò di parlare con il piccolo cronista. Non ricordo cosa mi disse. Ricordo il suo sorriso: stretto ed incisivo, soddisfatto, sarcastico, mai presuntuoso. Lo ritrovai come insegnante di Educazione Fisica al Liceo Scientifico. Lavoro in palestra e cene di classe con il Prof., sempre disponibile e cordiale. Per un breve periodo lo ebbi come allenatore alla Tiberis. Mi portò in prima squadra, ragazzino, dicendomi semplicemente “vieni a darci una mano”. Provai una grande motivazione. Solo più tardi, da allenatore, ho capito il suo calcio, semplice e concreto, basato sulla relazione prima ancora che sulla tattica, appunto sul fatto di conquistare i ragazzi dando loro importanza e considerazione. Credo sia questo il segreto dei suoi tanti successi. Ed al tempo stesso il motivo dei sui insuccessi: un uomo schietto e diretto non può vincere in un ambiente dove manca chiarezza e rispetto. Allenando Alessandro e Federico, i suoi preziosi tesori, ho avuto la fortuna di averlo come attento “osservatore”. Mai una volta che mi avesse detto dei figli. La sua attenzione era rivolta alla squadra, alla dinamica della gara, a sottolineare aspetti particolari che spesso sfuggivano agli occhi seppure attenti del giovane tecnico. Lui, “maestro”, mi parlava come un amico: con semplicità e sincerità. Avevamo una visione del gioco diversa. Proprio qui stava il bello del confronto e l’intelligenza di una persona profondamente competente, convinta delle sue idee, ma aperta ad ascoltare argomentazioni diverse. C’era solo una cosa che Romedio amava più del calcio: Marisa, sua moglie. Lei non ha mai tradito la sua fiducia. Il calcio si. “E’ sempre più difficile trovare persone serie e competenti”, mi diceva nelle lunghe telefonate che ci facevamo ogni tanto. Non era presunzione, piuttosto amarezza. Aveva ragione. Forse anche per questo si è staccato da un mondo sportivo in cui non si riconosceva più, restando in contatto con i pochi veri amici, dedicando tempo ed attenzione a quel piccolo sole che ha illuminato gli ultimi anni della sua vita: la nepotina Matilde. “Per me una grappa. Tu Prof.?”, “Sambuca, con la mosca!” Cin, Romedio.
Stefano Conti
05/03/2017 12:26:23 Scritto da: Francesco Cucchiarini